Molto spesso l’ansia viene intesa come un disturbo, qualcosa di cui liberarsi, non considerando in tal modo la sua utilità e la sua funzione adattiva: essa è una condizione di attivazione psicofisica sana che ci predispone ad affrontare ciò che percepiamo come minaccioso e fonte di pericolo.
L’apprensione e la preoccupazione per ciò che accadrà consentono inoltre di attivare le risorse interne – personali – ed esterne – nell’ambiente di vita – necessarie per trovare soluzioni utili e creative alle difficoltà che incontriamo.
L’ansia diviene disfunzionale e problematica laddove interferisca in modo significativo sul funzionamento lavorativo, scolastico e relazionale della persona. Una condizione oggi molto diffusa, nella quale l’ansia sembra superare le capacità dell’individuo di gestirla e contenerla, è l’attacco di panico.
Tachicardia, tremore, sudorazione, senso di soffocamento, paura di impazzire, sono alcuni dei sintomi che nell’arco di pochi minuti raggiungono un picco paralizzante per la persona. Anche in questo caso il corpo si fa teatro di un disagio psicologico che non trova altra via d’espressione.
Essere accompagnati nella comprensione delle motivazioni profonde circa l’insorgenza del disturbo, nell’attribuzione di senso e significato ai sintomi, intesi come modo attraverso cui la mente comunica, diviene allora di fondamentale importanza.
Il contesto di ascolto e supporto psicologico costituisce lo spazio nel quale sviluppare una comprensione condivisa tra paziente e professionista del tipo di angoscia alla base del disturbo: a volte questa è correlata al timore di perdere il controllo, al livello delle aspettative personali, ad un senso di profonda minaccia circa la propria integrità mentale o fisica. Altre volte è l’angoscia di separazione a costituirsi come nucleo emotivo all’origine del disturbo. Sono molti i giovani che nell’affrontare i movimenti di separazione dal contesto familiare e di individuazione verso l’adultità manifestano questo tipo di sofferenza.
Con l’aiuto di un professionista della relazione di cura si apre la possibilità di comprendere e inserire la sofferenza nella storia di vita e nel modo di essere, unico e particolare, della persona. Una relazione terapeutica basata sulla fiducia consente alle emozioni espresse nel corpo di avere finalmente un nome e diviene una risorsa, prima esterna, poi interna alla persona, a cui fare appello nei momenti di difficoltà: una base sicura da cui riprendere a ‘camminare’ con le proprie forze.
Dott.ssa Elena Cafasso – Psicologa Torino e Chieri
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