Tratto da “Psicoanalisi come percorso” di F. Borgogno, 1999
“Molti dei pazienti difficili che noi trattiamo hanno così, a mio avviso, vissuto esperienze di annientamento psichico subdole, sottili e ardue da decodificare, e spesso non è stato loro concesso, o quasi, di esistere come persone individualizzate ma solo come appendici di qualcun altro contro la loro stessa volontà. I loro bisogni di base sono stati pertanto ignorati e non hanno ricevuto una reale tutela e cura.
In passato si consideravano le angosce e le difese da essi sviluppate prevalentemente nei termini di resistenze più o meno primitive e frutto di conflitto, quando non innate ed espressione di attacchi (…). Sempre più, invece, nelle recenti pubblicazioni le si esplora altresì quale risultato di (…) forme di comunicazione patologica introiettate nello stesso ambiente di vita (analisi inclusa) in cui si viene o si è stati allevati.
(…) In tale linea, come mio contributo, rifletterò su un piccolo scritto di Paula Heimann (1975c), ai più sconosciuto, che commenta e amplia il concetto di trauma cumulativo di Masud Khan per porre un importante quesito circa l’amore dei genitori.
Riconsiderando la frequente descrizione, in psicoanalisi, di genitori iperprotettivi e iperindulgenti come causa di grave patologia, la Heimann si chiede: ma davvero questi genitori apprezzano il bambino, realmente lo capiscono, effettivamente lo amano? E così risponde:
“Il più delle volte succede che non possano essere disturbati dal loro bambino, che non se ne possano concretamente occupare, che non possano essergli disponibili nella mente e nel corpo offrendo loro tempo e sforzo, e che si liberino dei loro obblighi genitoriali soddisfacendo magari bisogni e desideri, anche prima che il bambino li senta. Crescere in un siffatto ambiente crea spoilt childern”.
Seguendo Paula Heimann (…) cercherò adesso di definire che cosa è uno spoilt child, tenendo presente che l’ambiente da cui provengono numerosi nostri pazienti è sovente assai più deprivante e intrusivo di quello offerto dai genitori iperindulgenti e iperpermissivi che Masud Khan (1974) indica come patogeni.
E’ un bambino in cui non soltanto vengono posti proiettivamente delle esigenze, dei bisogni, dei desideri che non sono suoi, ma da cui vengono estratte aree di espressività e di esistenza. L’evoluzione, che per diritto naturale spetterebbe ad ogni essere, viene così del tutto o in parte impedita e bloccata. Il bambino risulta infatti espropriato di qualcosa di suo e di specifico, trovandosi depositato internamente qualcosa di alieno ed estraneo, che proviene dai genitori e che in molti casi uccide ogni vita e ogni crescita.”
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