Il rapporto con il cibo può divenire compensativo di disagi affettivi rintracciabili nelle radici profonde della nostra storia emotiva. Comprenderne il significato e collegare il sintomo alle cause psicologiche e relazionali sulle quali si è costituito richiede un percorso approfondito all’interno della storia personale.
“Come in ogni labirintico processo per raggiungere ‘la conoscenza’ si indaga dentro di sé, per scoprire e accettare quel che di misterioso abita in noi. Questo migliorerà la tolleranza, la socialità e porterà a un’accettazione vera e più profonda di sé e dell’Altro. Il conoscersi e il riconoscersi consente di sperimentare altre vie di comportamento più adulte e più mature, senza ricorrere a regressioni orali, chiarendo il legame con la nostra parte bambina. Imparare a convivere con quel vuoto interiore, che prima tanto ci spaventava, diventa un’opportunità per maturare. (…)
La distanza
Questi tre disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia, obesità), producono lo stesso risultato: creano distanza. L’anoressica si erge psicologicamente su tutti gli altri, i deboli; la bulimica offre agli altri un’immagine di sé diversa dalla realtà, una sorta di finta facciata; l’obesa costruisce attorno a sé un’impenetrabile barriera protettiva. Perché e a quale scopo la donna affetta da disturbi alimentari crea questa distanza? Secondo T. Dethlefsen sintomi fisici e psiche sono correlati in modo tale che è presente nel sintomo ciò che è assente a livello di coscienza.
Un po’ semplificata, la questione della distanza può essere esposta in questi termini: la donna anoressica è orgogliosa di tenere così bene in pugno il proprio organismo e i propri bisogni. A livello psichico, tuttavia, le manca questa autonomia; non è indipendente né in grado di decidere per sé e teme di perdere questo controllo faticosamente conquistato.
La donna bulimica accetta solo la propria immagine perfetta e rifiuta il vero Io, che quasi nemmeno conosce e di cui teme il manifestarsi. Nei suoi attacchi incoercibili di fame si impone questa parte diversa, sconosciuta, che è lontana dalle sue pretese di perfezione e che bisogna rendere innocua. La donna bulimica concede troppo poco spazio alla propria vera personalità, che quindi deve trovare uno sfogo a livello fisico. Ciò che le manca a livello cosciente è l’accettazione di sé, la capacità di fare posto al proprio vero Io.
La donna obesa, si isola fisicamente grazie alla sua barriera protettiva, dato che non riesce a farlo a livello psichico. Servendosi della ripugnanza che ispira, tiene letteralmente gli altri a distanza. Ho conosciuto donne grasse che, dopo aver perso venti chili, tornavano rapidamente a ingrassare proprio perché erano incapaci di sopportare l’interesse suscitato dal loro nuovo aspetto. (…)
Radici comuni
(…) vorrei soprattutto sottolineare le radici comuni a tutti i disturbi alimentari, che affondano nelle primissime fasi dell’alimentazione, nell’appagamento del bisogno del lattante. Che cosa può fare un neonato, se non ottiene una risposta adeguata alle proprie esigenze di nutrimento, protezione, calore e sicurezza? Può cercare di attirare la madre; ma se anche questo fallisce, non gli resta che rassegnarsi cercando di limitare i propri bisogni. Ciò che scaturisce da tale rassegnazione, e che perdura anche in età adulta, è la sensazione di non aver ricevuto abbastanza, di averci rimesso”.
tratto da ‘Donne che mangiano troppo‘, Renate Göckel
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Dott.ssa Elena Cafasso – Psicologa Psicoterapeuta Chieri e Torino